Meneghino

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* Meneghino secondo Severino Pagani

 

* Moncalvo, re dei Meneghini, di Carlo Romussi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Severino Pagani

Meneghino

 

Il simbolo vero e sincero del milanese, con le sue virtù e le sue debolezze, è Meneghino; egli, se non fu creato da Carlo Maggi, da questo nostro grande poeta e commediografo secentesco ebbe valore. Anche Meneghino, come maschera milanese, ebbe un antenato: fu Baltramm de Gaggian, importato quindi dal contado (il nome dice la provenienza: Gaggiano è una località della Bassa Milanese). Il Baltramm fu tipo di sempliciotto milanese. Anche il Baltramm ebbe un predecessore e fu il Lapoff, una specie di Pierotto cittadino; infatti vestiva di bianco, con grossi bottoni neri per chiudere la giubba: himm più gross i botton del Lapoff, disse il Porta per indicare certe michette.

Anche il Meneghino era maschera importata dal contado; a lui i poeti e il popolo diedero una moglie, veramente milanese, la Cecca,

 

no Musa, ma Musella

de Borgh de Cittadella1

 

Ho detto che se Meneghino non è stato creato da Carlo Maria Maggi, fu da lui messo in pieno valore: tutti gli altri poeti dopo di lui, ne seguirono l'esempio; il popolo lo celebrò in tutte le circostanze e in tutte le occasioni, in modo di farne il tipo caratteristico del pretto popolano: Meneghino, anzi, diede il suo nome, in generale, al popolano schietto e genuino; il nome rimase, insieme all'aggettivo di ambrosiano, per indicare il cittadino milanese, di origine o di adozione, cittadino della capitale lombarda.

Così Meneghino divenne quasi un personaggio e tale lo consacrò Carlo Porta in più di un componimento.

Però è bene ricordare, per la tradizione e per la storia, che la sua vera origine è quella di maschera. Una vera persona di Meneghino non è mai esistita, anche se attori celebri, come Giuseppe Moncalvo e Luigi Preda, l'hanno mirabilmente impersonato e fatto vivere sulle scene.

 

 

Note:

1° Cittadella era detta anticamente la attuale 'Porta Ticinese.

 

 

 

 

 

 

Carlo Romussi

Moncalvo, re dei Meneghini

Estratto da “Milano che sfugge” (Aliprandi Editore, 1913)

 

 

E dove lasciamo te, umile e generoso Moncalvo, re dei Meneghini, idolo del nostro popolo, il primo uomo di Milano, come tu solevi dire, perché abitavi nella prima casa entrando dal dazio?

Figlio di un chirurgo dentista, cominciò a declamare a 10 anni: a 18 anni (eravamo nel 1797) faceva la comparsa o lo statistico, come si diceva, nel teatro Patriottico, oggi Filodrammatici: poi percorse la Lombardia con una, compagnia sua: tornato a Milano, edificò un teatro abbastanza vasto, nell'osteria del Gamberino, dove oggi c'è il Presepio Meccanico, e lì, in mezzo ai dilettanti cominciò a recitare le parti di Meneghino.

Figlio di un chirurgo dentista, cominciò a declamare a 10 anni: a 18 anni (eravamo nel 1797) faceva la comparsa o lo statistico, come si diceva, nel teatro Patriottico, oggi Filodrammatici: poi percorse la Lombardia con una, compagnia sua: tornato a Milano, edificò un teatro abbastanza vasto, nell'osteria del Gamberino, dove oggi c'è il Presepio Meccanico, e lì, in mezzo ai dilettanti cominciò a recitare le parti di Meneghino. E gli sosteneva che il Meneghino non è una maschera, ma un carattere: e si scagliava contro i detrattori che cercavano di avvilire la sua parte.

“Oh stolidi! (scriveva nel 1858, a 79 anni): ad un carattere nazionale burlevole, date il titolo di maschera, perché vi fa ridere?... Con questo titolo offendete il nostro patrio idioma”. I suoi dilettanti del Gamberino, che avevano il nome di Intraprendenti (i Filogamber del Porta) si sciolsero in tre parti: una andò al Filodrammatici, l'altra in un teatrino a San Romano, la terza al Carcano col nome di Trasformati: e il povero Moncalvo mise su una compagnia sua e girò mezza Italia raccogliendo molti allori e pochi quattrini. Egli improvvisava con pungente arguzia; i fatti del giorno sapeva innestarli nelle commedie che recitava: e, ridendo,smascherava i viziosi e gli ipocriti; nella miseria

dell'avvilimento generale, la voce del Meneghino ricordava coraggiosamente che vi era una patria. Il polizaj era là pronto, ogni volta che il frizzo più mordace contro l'Austria destava un maggior subisso di applausi, ad ammanettarlo appena tornava fra le quinte: e un paio di volte la settimana andava a dormire a Santa Margherita o al Criminale. Un giorno non osò cavar di tasca, per asciugarsi il sudore, un fazzoletto tricolore? Immaginate quanti evviva! ma egli, ringraziando, incrociò le mani, come se aspettasse gliele legassero, e rispose: Felice notte ai sonadôr: voo all'albergo di dò campann. Il nostro popolo chiama con tal nome il palazzo di Giustizia. E infatti andava in prigione; ma l'Austria, che non voleva privare il popolino di un divertimento, perché credeva " fin che si ride non si cospira , lo faceva la sera vegnente accopagnare in teatro dai poliziotti, che, finita la recita, tornavano a ricondurlo in carcere.

 

In una commedia sosteneva la parte di padrone di osteria. Un servo lo avvisa che è giunto un forestiere di Torino: e Moncalvo: Mèttel nella stanza pussee bella. - Ne è arrivato un altro, un inglese: - Mèttel a second pian. - Ne è venuto un altro ancora, un francese. - Mèttel lì vesin. - Ne è capitato un altro, un tedesco. - On todisch? mèttel in stalla. - Scoppiò un uragano di evviva: quella volta i polizaj irruppero sul palcoscenico e lo condussero via addirittura. La recita fu troncata. Un'altra sera in cui si accorse che le guardie lo aspettavano, si interruppe nella sua parte e tracciò delle lettere in terra col suo bastoncino. Erano un'L, un'F, un'M maiuscole: lesse le lettere e ne

cercò a sè stesso la spiegazione: L. F. M! Luganega finna, monsciasca.... no, no, esclama: non

è questa; ma piuttosto (ammiccando cogli occhi le guardie che facevano capolino dalle quinte) La

Feniss Mal „. Fu commovente la sua ultima recita: rappresentava il Testamento di Meneghino. Unico risparmio fatto, diceva egli, in mezzo secolo di carriera, fu un'infermità: ma lo spirito aveva ancora allegro e mordace. Pure Meneghino fu preso quella sera da una commozione strana: e la sua commozione si comunicò a tutto il pubblico quando finì con questo testamento: Lassi el corp a la terra, l'anima a Dio, el cervell all'Italia, el coeur al mè Milan.

 

 

 

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